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Dai risotti ai Sartù e arancine, i volti del riso

Dai risotti ai Sartù e arancine, ricette che amano lo stesso cereale: il riso.  Dall’Asia all’ Italia, attraverso la Serenissima Venezia, fa innamorare prima i lombardi, poi i piemontesi e quindi i veneti, mentre  complici gli arabi e l’aragonese Regno di Napoli, convince anche i meridionali. Prodotto inizialmente  usato come medicamento. Poi, grazie alla famiglia dei Medici (1468),  le  coltivazioni sono diventate stabili e produttive. Gli Sforza (1436 e 1494) a Milano e dintorni,  sostengono le risaie e vietano le esportazioni di riso. Nel Sud, invece, è un filosofo agronomo, Simone Porta(1496 -il 1554), a scrivere di  riso a Paestum ed in altre località del salernitano.

Dai risotti ai Sartù e arancine, i volti del riso

Risotto alla Milanese

A Milano la leggenda narra che nel 1574 al matrimonio della figlia del vetraio, Valerio di Fiandra, sia stato preparato il primo risotto allo zafferano della storia. L’uomo, è un artigiano che sta lavorando alla decorazione delle vetrate del Duomo di Milano ed un suo collaboratore, che è chiamato Zafferano per l’uso continuo della spezia nel miscelare i colori, gli fa la sorpresa di utilizzarlo in cucina il giorno del banchetto di nozze della giovane. Da allora il riso  giallo poi Risotto alla Milanese è un simbolo della cucina meneghina. Nei secoli, dal riso bollito, e poi condito con lo zafferano, si è passati, nel 1779, al riso soffritto e unito alla spezia.  Il risotto è sempre più un piatto della tradizione milanese. Tanto che, nel 2007, il Comune di Milano ne codifica la ricetta con una delibera comunale che attribuisce a questo piatto una denominazione comunale. Il riso deve essere cotto in brodo, grasso di manzo, midollo di bue tritato e burro e quindi mescolato alla spezia gialla.

I Sartù, tra le ricette simbolo di Napoli

Uno dei piatti tipici della cucina partenopea deve attendere il ‘700 per essere inserito nei ricettari di corte. Da Vincenzo Corrado a Ippoliti Cavalcanti, il riso è l’ingrediente fondamentale di un piatto a più strati. Lo è sia perché ricco di ingredienti sia perché il buono deve essere anche bello e quindi deve essere mostrato. Per mostrarlo bisogna realizzare qualcosa di maestoso. I grandi cuochi di Napoli avevano compreso che il riso per la sua duttilità poteva essere usato per piatti straordinari. Tra questi il grande Ippolito Cavalcanti che ne fa un emblema della cucina regale.

“Cotto il riso con brodo, e poi freddato, si legherà con parmegiano grattugiato, gialli di uova, e qualche chiara, e se ne formerà una pasta, la quale tirata come una grossa sfoglia, entro una casseruola unta di strutto, e polverata di pan grattato; per ripieno di essa vi si metterà un ragù di animelle, condito con tartufi, prugnoli, ed erbe aromatiche; si coprirà con la sudetta pasta di riso, e si farà cuocere al forno. Cotto si servirà caldo il Sortù”. Questa la ricetta che nel 1852 la Cucina teorico-pratica consegna alla storia culinaria italiana ed internazionale.

Le arancine (Palermo) e gli arancini (Catania)

Forse ispirati dagli agrumi, i siciliani,  mangiano il riso con forme rotondeggianti, il cui colore dorato le farebbe sembra arance o frutti simili. In questa parte d’Italia sono stati sicuramente gli Arabi ad introdurre il riso ed a farlo utilizzare prima come medicina e poi come cibo. Ma è soltanto il Dizionario siciliano-italiano di Giuseppe Biundi (1857) a fornirci spiegazioni importanti: aranciu èuna vivanda dolce fatta alla forma di melarancia”.  Dunque,  un dolce dalla forma di un frutto. Nel 1894, si legge il riferimento ad un altro frutto e cioè che le “arancine di riso grosse ciascuna come un mellone”. La citazione è nel libro i Viceré di Federico De Roberto. Dunque, in tempi abbastanza recenti, questo ‘dessert’ si è trasformato un cibo salato e gustosissimo dalle numerose varietà e composizioni.

Elisabetta Donadono

Elisabetta Donadono, napoletana, giornalista, comunicatrice e sommelier dell’olio extravergine d’oliva ha ideato prima napolipost.com e poi il grandfood.it. Due esperienze editoriali che propongono una lettura nuova, positiva, emozionale e coraggiosa delle eccellenze d’Italia. Dall’arte al cibo, dal cibo all’arte, i percorsi giornalistici indagano l’arte ed il cibo, raccontandoli in modalità nuova, in chiave originale, in versione fantasiosa. Articoli che hanno anticipato ed anticipano la conoscenza di luoghi, prodotti, persone, oggetti utilizzando di volta in volta tutti i sensi. Il grandfood.it nasce dopo i libri Il Grand Food Campania ed Il Grand Food Lazio, due libri per circa 100 racconti di cibi ‘gustati’ attraverso i monumenti e l’arte osservata cucinando buon cibo. Il Grand Food, in versione web e sociale è una nuova sfida tutta da fare con e per i lettori!

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